RINNOVO CONTRATTI: presentata la mozione parlamentare per sollecitare lo sblocco:

ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01262

Legislatura: 17

Seduta di annuncio: 622 del 11/05/2016

Mozione 1-01262presentata da

RIZZETTO Walter testo di

Mercoledì 11 maggio 2016, seduta n. 622


premesso che:


in data 24 settembre 2016, sono state accolte una serie di mozioni alla Camera dei deputati con le quali il Governo si è impegnato, tra l'altro, ad adottare provvedimenti per assicurare la riapertura della fase negoziale con le organizzazioni sindacali, per il rinnovo della contrattazione per i comparti della pubblica amministrazione. Ciò in conformità a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178 del 2015, che ha condannato un'ingiustizia che si sta perpetrando da ben sei anni nei confronti dei lavoratori pubblici, dichiarando l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti. Gli effetti di tale pronuncia decorrono dal giorno successivo alla sua pubblicazione, disposta in data 29 luglio 2015, poiché i giudici costituzionali hanno voluto escludere il notevole carico che sarebbe derivato sui conti pubblici dalla retroattività della sentenza;
ad oggi, vige ancora il blocco della contrattazione collettiva e degli automatismi stipendiali, come imposti da una serie di norme susseguitesi nel tempo, legate da un palese nesso di continuità, per perseguire un obiettivo di contenimento della spesa. In particolare, il regime di sospensione della contrattazione collettiva risulta dalla seguenti disposizioni: articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 98 del 2011 («Manovra correttiva 2011»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 98 del 2011); articolo 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014); articolo 1, comma 254, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015);

come è noto, dunque, la Corte Costituzionale ha individuato nelle predette misure normative un carattere strutturale, che ha determinato una violazione dell'autonomia negoziale. I periodi di sospensione degli ordinari iter negoziali e contrattuali devono essere definiti nel tempo e non possono essere prolungati discrezionalmente. Al riguardo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato la necessità di «un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e i requisiti di protezione dei diritti fondamentali dell'individuo» riconoscendo la legittimità dei provvedimenti adottati dal legislatore portoghese in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici, sul presupposto che tali misure avrebbero avuto efficacia per un ragionevole periodo di tempo. Invece, il carattere ormai sistematico della sospensione del regime di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti italiani, è stato caratterizzato da un bilanciamento, del tutto irragionevole, tra esigenze di controllo della spesa, all'interno della programmazione finanziaria (articolo 81, primo comma, Cost.), e valori di rango costituzionale come la libertà sindacale (articolo 39, primo comma, Cost.), già soggetta ad incisivi limiti normativi e controlli contabili;
ebbene, nonostante l'accertata illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione, non sono stati ancora rimossi i limiti imposti allo svolgimento delle procedure negoziali concernenti la parte economica contrattuale. Quindi, dal 2010 i dipendenti pubblici vivono questa ingiustizia e sono trascorsi, vanamente, più di sette mesi dall'approvazione delle mozioni che il 24 settembre 2015, impegnavano il Governo ad assumere iniziative per riparare alle illegittime misure in questione;


alle sentenze va dato seguito in tempi ragionevoli, tanto più in presenza di violazioni di diritti costituzionalmente riconosciuti; il protrarsi del ritardo del Governo nell'adempiere alla sentenza in questione non può essere in alcun modo giustificato dalla difficoltà di stanziare le dovute risorse finanziarie, considerando che lo stesso, a copertura di iniziative e provvedimenti ben meno rilevanti, ha prontamente individuato ed impegnato gli importi necessari;
tale grave situazione in questi mesi ha subito un peggioramento, poiché a causa del considerevole ritardo nell'adempiere alla sentenza dei giudici costituzionali, il Governo sta, attualmente, esponendo le casse dello Stato ad un imminente danno economico, considerando la legittimazione dei pubblici dipendenti ad agire in giudizio per i danni determinati dalle lungaggini delle istituzioni nel ripristinare l'ordinaria dialettica contrattuale. Difatti, si fa presente che, il 23 febbraio 2016 si è appreso che alcune organizzazioni sindacali hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per ottenere: la condanna del Governo per il mancato ottemperamento alla sentenza della Corte costituzionale e il risarcimento per i lavoratori gravemente danneggiati dal mancato rinnovo contrattuale che si protrae, si ribadisce, da oltre sei anni. Inoltre, diverse associazioni stanno proponendo delle class action a cui i dipendenti pubblici possono aderire per ottenere un indennizzo/risarcimento;
il Governo non può più rimandare i dovuti provvedimenti in questione, che riguardano circa 3 milioni e 300 mila lavoratori, i quali, in termini di retribuzioni, a causa del congelamento, è stato stimato che già fino al 2013 abbiano perso circa seicento euro; quindi il danno economico, ad oggi, è ancora più oneroso rispetto a tale importo,

impegna il Governo ad assumere idonee iniziative volte a scongiurare il grave danno che comporterebbe per l'erario l'esito positivo dei ricorsi presentati per ottenere la condanna del Governo per il grave ritardo nell'adempimento della sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2015 e il conseguente risarcimento/indennizzo per i lavoratori pubblici, procedendo urgentemente a rimuovere il regime di «blocco» della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti e, dunque, garantendo la legittima negoziazione contrattuale nel rispetto dell'articolo 39 della Carta Costituzionale.


(1-01262) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».

___________________________________________________

Cosa cambierà con l’accordo Aran-sindacati per i dipendenti statali

L'intervento di Stefano Biasioli, segretario generale Confedir (11 Aprile 2016)

Non condividiamo l’ottimismo di quanti hanno detto e scritto che l’accordo Aran-Confederazioni della Pubblica amministrazione consentirà lo sblocco dei contratti pubblici. Ci sono volute 17 ore di trattativa per arrivare a definire 5 comparti pubblici, non i 4 previsti dalla legge Brunetta (d.lgs.150/09). Cinque e non 4 perché le Confederazioni autonome (soprattutto Confedir e Usae) sono riuscite a salvare la autonomia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, autonomia che l’Aran – inizialmente – non voleva garantire, alla faccia dell’articolo 75 della legge citata. Sono riuscite, dopo una lunga lotta verbale, durata settimane.

Chi ha vinto e chi ha perso? Nessuno, pari e patta.

Non ha vinto il governo, che non ha capito che sarebbe stata necessaria una diversa norma transitoria fino alla nuova raccolta della rappresentatività sindacale. Non ha vinto lo stesso governo se è convinto che la nuova struttura dei comparti semplificherà la trattativa contrattuale in centro ed in periferia. Non ha vinto la Triplice, che si troverà ad avere grossi problemi nel mondo della scuola e nel compartone regionale.

Non ha vinto chi pensava che i 4 (5) comparti ridurranno la presenza ai tavoli sindacali. Non sarà così, si accettano scommesse. Non ha vinto l’Aran che tecnicamente avrebbe potuto e dovuto fare scelte diverse. Di certo ha vinto quella parte del tavolo “autonomo” che ha salvato la PdCM e che ha ottenuto tempistiche più lunghe per le opportune affiliazioni ed aggregazioni, inevitabili in molti settori.

Ha comunque ottenuto un buon successo quella parte del tavolo autonomo che ha dimostrato, ancora una volta, che tesi “corrette” degli autonomi possono bloccare disegni poco democratici, estranei alle volontà dei sindacalizzati – dirigenti, quadri, alte professionalità – che non si riconoscono nelle posizioni della Triplice. Che Triplice resta, nonostante le difficoltà della Uil.

Si ridurrà il numero dei partecipanti ai tavoli contrattuali? Lo vedremo. Una cosa è certa. Adesso il governo dovrà scucire almeno 3 miliardi per fare quei contratti pubblici bloccati dal lontano 2010. Ora non ci sono più scuse. Fuori i denari. Dove li prenderà Renzi? Di certo non li potrà togliere ai pensionati pubblici, quelli che ha massacrato con le leggi 109/2015 e 208/2015. Massacri che la Consulta dovrà interrompere a breve. Almeno così ci auguriamo, se in questo Paese le regole democratiche sono ancora vigenti…